Il problema non sono gli idioti che parlano ma quelli che ascoltano Società

Recentemente ha creato polemiche un’affermazione di Umberto Eco, secondo il quale il peggior difetto di internet è che ha dato libertà di parola a qualunque idiota. Lungi da me voler contraddire il noto semiologo, al quale però si potrebbe ribattere che la sua dichiarazione è in sé un azzardo, poiché chiunque potrebbe fargli notare che si conferma da sola. La questione che vorrei affrontare è un’altra: perché tutto sommato la libertà di parola è un diritto costituzionalmente garantito da molto prima che nascesse internet. Il vero guaio non sta nel fatto che chiunque possa dire ciò che vuole, ma che in molti oggi siano più propensi a prestar fede a qualsiasi cosa venga letta in rete piuttosto che alle notizie provenienti dai canali tradizionali.

Esiste infatti un pregiudizio, radicato in molti purtroppo, secondo il quale i giornalisti costituiscono una casta di lacché asserviti ad un occulto potere superiore e che quindi ciò che scrivono non è degno di fede. Disse una volta Woody Allen: “I giornalisti sono quelle persone che sanno distinguere la realtà dalle frottole, ma poi pubblicano le frottole”. Basandosi su questo principio, non sono pochi quelli che rifiutano le notizie diffuse dagli organi di stampa e seguono esclusivamente blog indipendenti, scritti da persone che magari non hanno titoli di studio adeguati o, peggio ancora, non verificano alcunché di ciò che scrivono, attingendo da fonti prive di fondamento o magari limitandosi a far ricircolare voci o leggende urbane. Tuttavia, chi ritiene che i giornalisti siano solo servi del potere privi di una volontà, preferisce essere informato dal blog di suo cugino, che scrive un po’ quel che gli pare, ma almeno non ha un padrone e quindi è libero di diffondere la verità.

Se applicassimo questo ragionamento ad altri settori, vedremmo persone che prima di partire per un viaggio si rivolgono ai cartomanti anziché consultare il meteo; o malati che invece di farsi prescrivere una cura da uno specialista, corrono da una fattucchiera per farsi togliere il malocchio.

È vero che la professione di giornalista è cambiata profondamente da quando esistono i computer e soprattutto i social network, ma si tratta di svolgere lo stesso lavoro con strumenti diversi. Quando si passò dal calamaio alla biro, nessuno temette che le parole scritte con una penna più moderna potessero essere meno autentiche di prima. Lo stesso discorso vale per il giornalismo: chi voleva pubblicare notizie false, tendenziose o parziali non ha dovuto aspettare l’invenzione del pc e la diffusione di Twitter, poteva farlo benissimo anche quando si usavano le macchine da scrivere ed il mezzo più veloce per raggiungere un vasto pubblico era solo la televisione.

Quindi, in definitiva, il problema non sono gli idioti che parlano, ma quelli che li ascoltano. Chiedo scusa, lungi da me il voler offendere qualcuno: la questione è saper distinguere, in mezzo a tante voci, quali sono quelle più meritevoli di fiducia. Udire tutte le voci, ma essere in grado di discernere quali vale la pena ascoltare e quali no. E questa capacità appartiene a chiunque indipendentemente dal mezzo che sceglie per tenersi informato, perché se tutti hanno diritto di dire la loro, non tutte le voci hanno lo stesso tono e lo stesso peso.

Saluti dalla plancia,

CARLO DELASSO

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