Quando la bandiera era avversata Società

Carissimo Enzo,

ah se tu potessi vedere tutto questo irrompere di bandiere tricolore che stanno inondando la nostra città!

Già li vedo i tuoi occhi roteare e farsi lucidi, gioire e sobbalzare.

Tu però non puoi vedere perché te ne sei andato già da tempo e per giunta quando eri lontano dalla tua Benevento.

Quella città che ti ha visto protagonista, insieme a tanti di noi, di quelle manifestazioni giovanili e studentesche dove il tricolore era in capo al corteo e tutti dietro a cantare l’Inno di Mameli.

Non importava quali erano i motivi della “rivolta” (… riforma della scuola o una azienda che chiudeva e licenziava) l’importante era innalzare il tricolore, sempre così.

Ma quel vessillo che tu orgogliosamente tenevi alto, legato ad una mazza un po’ arrangiata, non sempre era gradito a qualcuno, che senza complimenti te lo gridava in faccia mentre sfilavi lungo il Corso Garibaldi orgoglioso e tutto preso.

E tu che non riuscivi a fartene una ragione: “… Come? - dicevi - la bandiera italiana, il simbolo della nostra unità, della nostra storia, della Patria, dell’amata patria italiana! Ma che vogliono questi stronzi?”.

Lo ricordo, come fosse oggi, era un pomeriggio del 1963 in quella vecchia sede della “Giovane Italia” a Piazza Roma quando per oltre un’ora parlasti del tricolore, del suo valore, del suo significato e incitavi tutti a voce alta ad amarlo quel vessillo perché, dicevi con convinzione, in esso è racchiusa la nostra storia, i nostri morti, la nostra terra, plebe e nobiltà, guelfi e ghibellini, savoiardi e borbonici, fascisti e antifascisti.

E’ vero c’era un po’ di enfasi in quelle parole, ma erano sincere e scaturivano dal cuore.

Non c’erano secondi fini.

Oggi questo sventolio di bandiere del tricolore è il giorno della tua e nostra rivincita.

E quando sentirò cantare l’Inno di Mameli, tra lo sventolio di mille bandiere, mi ricorderò di te e di quei tanti giovani di quel tempo straordinario.

Tuo Giovanni