Lo smartphone è più di una cassaforte per i nostri segreti intimi Società

È il custode dei nostri più intimi segreti, il ricettacolo delle nostre meschinità più sordide. Non sto parlando del padre confessore, bensì di un oggetto, poco più grande di un pacchetto di sigarette, dal quale la maggior parte di noi non si separa neanche quando va in bagno. Avete indovinato di che si tratta? Ma dello smartphone, ovviamente.

Nel recente film Perfetti sconosciuti, del regista Paolo Genovese, sette amici, trentenni e quarantenni, si riuniscono per una cena e, tra una portata e l’altra (soprattutto tra un bicchiere e l’altro), qualcuno ha un’idea: tirare fuori i telefonini e, per tutta la serata, mettere a conoscenza i commensali del contenuto di questi. Ne verranno fuori crisi coniugali, rotture di amicizie di lunga durata e liti furibonde.

È proprio così? I nostri smartphone racchiudono davvero la parte più intima della nostra personalità, ciò che non vorremmo che nemmeno i nostri amici più cari o i parenti stretti venissero a sapere? Un tempo, l’incubo delle adolescenti era che i genitori leggessero il diario segreto. Ogni ragazzino aveva un angolino nascosto della propria stanza (in genere sotto il letto o dietro l’armadio) dov’erano relegati oggetti quali riviste porno, sigarette, preservativi o altro. E per molti mariti le borse delle mogli erano off limits, unico baluardo non ricompreso nell’intimità coniugale.

Oggi invece è tutto nello smartphone. Facciamoci un po’ un esame di coscienza: se dimenticassimo il cellulare al ristorante o sul sedile dell’autobus, a parte il valore economico dell’oggetto in sé, quale sarebbe la nostra maggiore preoccupazione? Cosa non vorremmo assolutamente che cadesse sotto gli occhi di un estraneo? Le foto di una notte brava? Lo scambio di messaggi con una persona sentimentalmente legata ad un altro? Io credo che ognuno di noi suderebbe freddo in un frangente del genere.

Ecco perché è balzato agli onori della cronaca il rifiuto da parte di Apple, alcune settimane fa, di consentire all’FBI un accesso ai dati dell’iPhone di uno dei terroristi della strage di San Bernardino, in California. Lo scorso dicembre, due attentatori kamikaze si sono fatti esplodere, provocando 14 morti (oltre agli attentatori stessi) in un centro per disabili. Le autorità di polizia americane sono entrate in possesso del telefonino di uno dei due terroristi, ma non potevano accedervi per via della password. E l’ultima versione dell’iPhone dispone di sistemi di protezione contro l’accesso abusivo talmente sofisticati che nemmeno i tecnici esperti dell’FBI (quelli che nei film hollywoodiani e nelle serie tv sembrano capaci di qualsiasi miracolo, come neanche Batman e Sherlock Holmes messi insieme) sono stati in grado di violarli.

L’FBI ha chiesto allora alla Apple di creare una backdoor, ossia una via d’accesso riservata, ma la multinazionale di Cupertino si è rifiutata, adducendo a motivazione il fatto che ciò avrebbe creato un pericoloso precedente a danno della riservatezza dei suoi utenti.

Come giudicare il comportamento di Apple? È più importante la tutela della privacy o la sicurezza dei cittadini? Se pensiamo che attualmente le forze di polizia in servizio negli aeroporti dispongono di chiavi passepartout in grado d’aprire i lucchetti delle valigie dei passeggeri, ci possiamo rendere conto di quale valore abbiamo attribuito alla nostra segretezza digitale, se siamo disposti ad accettare che le autorità frughino nel nostro bagaglio, pur d’impedire un attentato, ma non tolleriamo che leggano i nostri sms.

Per la cronaca, nonostante il secco no della Apple, l’FBI è riuscito a penetrare l’iPhone del terrorista kamikaze grazie all’aiuto di un hacker che è riuscito laddove gli esperti informatici al servizio del governo federale avevano fallito. Questo dovrebbe farci riflettere sul fatto che, se pure possiamo celare i nostri segreti alle forze dell’ordine, ci sarà sempre qualche fuorilegge in grado di violarli.

Saluti dalla plancia,

CARLO DELASSO

Altre immagini