La legge sull'Editoria che scontenta l'Ordine dei Giornalisti Politica

Secondo Giuseppe Mazzini: 'La legge deve esprimere l'aspirazione generale, promuovere l'utile di tutti, rispondere a un battito del cuore della Nazione. La Nazione intera deve esser dunque, direttamente o indirettamente, legislatrice'. Da gran sognatore qual era Mazzini finalizzava la legge al 'bene comune', ad un 'battito di cuore' collettivo per regolare la vita della comunità. Di 'leggi ad personam'  non ne aveva proprio la più minima idea. 

Più realista, in verità, Lev Tolstoj quando afferma che: 'La legge degli uomini è come la banderuola di un vecchio campanile che varia e si muove secondo come spirano i venti'.

I 'venti' degli interessi, pubblici e privati, sono tanti e soffiano forti, sempre più forti. E più la democrazia s’indebolisce, più essi si trasformano in un tsunami che annienta quei sacri principi enunciati da Mazzini. C’è anche da dire che più il legislatore non si limita a regolamentare questioni generali, ma scende nel dettaglio, provando a disciplinare tutto e di più - scordandosi però a volte di tematiche basilari da evidenziare -, più c’è il rischio del possibile 'favore' singolo o collettivo.

Queste considerazioni mi vengono spontanee dopo aver ascoltato l’appassionato intervento di Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, alla sesta edizione del premio intitolato a Mimmo Castellano, che fu leader indiscusso dei giornalisti-pubblicisti italiani. Le questioni che solleva Iacopino sono legate alla legge sull’Editoria varata solo qualche settimana fa. Legge che spazia dal finanziamento all’editoria, alla disciplina dei profili pensionistici dei giornalisti, alla composizione e alle competenze del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, alla fissazione del numero dei componenti del Consiglio nazionale dell’Ordine e, in fine, alle procedure per l’affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale. Insomma, una bella e complessa materia che è di quelle basilari per la tenuta della democrazia nel nostro Paese.

Al di là dell’intervento di Iacopino, diverse perplessità mi erano già venute nel leggere l’importante legge. Due, in particolare: la questione del non finanziamento dei giornali di partito e sindacali e quella relativa all’Ordine dei giornalisti. Per la cancellazione del finanziamento ai giornali di partito mi ero detto che ci trovavamo difronte ad una norma populista. Se si vuole evitare che i partiti per finanziarsi usino mezzi non leciti è bene dare loro dei contributi non però 'a pioggia', ma su iniziative concrete che essi realizzano a favore del proprio elettorato. Che c’è di meglio, allora, che sostenere la stampa di partito e la formazione dei quadri? Certo, in base alla consistenza delle iniziative, anche legate alla rappresentatività del partito. E’ ovvio che andrebbero cancellati altri tipi di contributi.

Per quanto poi riguarda l’Ordine, ci sono stati anni di dibattito interno per modificare la superata - dai tempi - impostazione della normativa costituente. Tutto inutile. Il legislatore ha preferito ignorare certe proposte unitarie e scendere nel dettaglio, arrivando anche a stabilire che se un pubblicista vuole candidarsi al Consiglio nazionale dell’Ordine deve essere titolare 'di una posizione previdenziale attiva presso l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani'.  E perché solo per candidarsi e non per acquisire l’iscrizione all’albo dei 'giornalista-pubblicisti?'. Il numero dei pubblicisti si sarebbe ridotto all’osso, in modo preoccupante, fino a mettere in serie difficoltà le entrate economiche dell’Ordine che si sostiene, in gran parte, con le quote dei pubblicisti.

Nel suo intervento appassionato, tra l’altro, Enzo Iacopino fa un paragone tra la legge sul Caporalato in agricoltura, approvata di recente dal Parlamento, e quella sull’Editoria. Che c’entrano le due normative? Se è vero, come è vero, che la legge sul Caporalato modifica l’art. 603 bis del Codice Penale (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro), prevedendo la pena della reclusione da uno a sei anni per l'intermediario e per il datore di lavoro che sfrutti i lavoratori - che possono diventare otto in caso di violenze o minacce -, oltre la confisca dei beni anche per il datore di lavoro consapevole dello sfruttamento, perché la legge sull’Editoria non prevede cose simili? L’interrogativo che si pone il presidente dell’Ordine è semplice: 'perché il legislatore, nel concedere i  finanziamenti pubblici, non si è preoccupato di chiedere un minimo di garanzie agli editori?'. Che, in altre parole, significa non lavoro nero, pagamento dei contributi, compensi a norma dei contratti collettivi, ecc… Sarebbe interessante provare a denunciare alla magistratura qualche editore in base alla nuova normativa sul Caporalato, quando ovviamente ricorrono gli estremi previsti dalla legge. Credo che su questo fronte il presidente dell’Ordine dei giornalisti già si sta attrezzando.

ELIA FIORILLO

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